martedì 25 gennaio 2011

La fotografia a colori

 Un passo importante verso la definizione della fotografia a colori venne compiuto nel 1861 a seguito degli studi condotti dal fisico scozzese James Clerk Maxwell che, illustrò una conferenza sulla visione umana del colore, con quella che potremmo definire la prima fotografia a colori della storia. E' curioso notare però che l'intento di Maxwell non era di tipo fotografico: egli infatti tendeva a dimostrare la validità degli studi condotti a suo tempo dallo scienziato inglese Thomas Young nel 1806 il quale riteneva che l'occhio umano reagisse a tre colori (il rosso, il verde e il blu) e che i rimanenti risultassero la mescolanza di questi tre colori primari. Sulla base della validità di queste considerazioni Maxwell riteneva fosse possibile ricreare tutti i colori di una scena in un'immagine fotografica facendo interagire, nella giusta proporzione, i tre colori primari. Quindi, in collaborazione col fotografo Thomas Sutton, Maxwell proiettò su di uno schermo, alla Royal Institution di Londra, la foto di un nastro scozzese.
 
Il metodo utilizzato si basava sull'utilizzo di tre lanterne magiche e ampolle di vetro colme di liquido colorato che fungevano da filtri. La dimostrazione di Maxwell confermò quindi il principio già esposto da Young. Nell'applicazione pratica però non si poteva ancora ricreare un'immagine a colori dal momento che il materiale fotografico a disposizione era sensibile solo alla luce blu. In realtà Maxwell non avrebbe mai ottenuto un'immagine  attraverso i filtri verde e rosso se non fosse stato per due  combinazioni: la prima che le tinture rosse del nastro riflettevano le luci ultraviolette cui era sensibile la lastra; la seconda che il filtro verde lasciava passare una quantità di luce blu-verde sufficiente per formare un'immagine.
                                                                                             
 Per riprodurre i colori di un soggetto originale Maxwell chiese a Sutton di scattare tre diverse fotografie di un nastro, ognuna con un filtro di colore diverso. Le lastre positive ricavate da queste tre diverse immagini in bianco e nero vennero poste in "lanterne magiche" accuratamente sistemate in modo da sovrapporre l'immagine proiettata, come esposto nel disegno. Proiettando le diapositive attraverso filtri degli stessi colori primari le immagini sovrapposte formavano i colori del nastro.

Contemporaneamente a Maxwell, in Francia Louis Ducos du Hauron studiava un altro metodo che a differenza di quello dello scienziato scozzese era di tipo sottrattivo. Anche nel metodo del francese si fotografava la scena in bianco e nero con tre riprese diverse: una con un filtro rosso, una con quello verde ed una con quello blu. Poi si preparavano tre emulsioni al bicromato di potassio con l'aggiunta rispettivamente di un pigmento magenta, giallo e cyan. Le emulsioni bicromate venivano stese su fogli di carta velina. Quindi ogni negativo filtrato veniva stampato sul foglio con il colore complementare al filtro usato e l'immagine veniva sviluppata con acqua calda: nelle zone rimaste esposte la gelatina colorata rimaneva attaccata al supporto, mentre scompariva in quelle non esposte. Infine le tre immagini venivano trasferite su di un unico foglio per averla nella sua completezza dei colori. E' interessante notare che il principio è lo stesso che viene usato oggi. Le immagini ottenute con questo procedimento erano soddisfacenti. Louis Ducos du Hauron giunse alle sue conclusioni quasi contemporaneamente a quelle cui giunse Charles Cros, così che i due resero pubbliche le loro scoperte in occasione della stessa conferenza della Société Française de Photographie nel maggio del 1869. Così come per il procedimento di Maxwell,  quello dei due francesi non poteva avere immediata applicazione poichè il materiale fotografico disponibile all'epoca era sensibile solo alla luce blu.  








Nel 1873, il dottor Hermann Vogel scoprì emulsioni sensibili alla luce verde e tre anni dopo du Hauron realizzò il suo primo ritratto a colori su carta.

Ma la fotografia a colori non era ancora alla portata di tutti. Così l'inventore americano Frederic E. Ives elaborò, nel 1888, una versione commerciale e semplificata del procedimento di Maxwell. 
In seguito commercializzò dei congegni per scattare e rivedere delle fotografie a colori.
Il più famoso di questi era il visore Kromskop in cui erano contenuti e disposti dei riflettori colorati. Guardando nell'oculare si vedevano tre immagini in bianco e nero riunite in un'unica immagine a colori. 


Verso la fine del 1890, il professor John Joly elaborò una tecnica che consentiva di usare una sola lastra al posto di tre e di porre i tre filtri colorati sopra l'emulsione sensibile alla luce anzichè sopra l'obiettivo. Per preparare i suoi filtri tracciò delle sottilissime linee rosse, verdi e blu sopra una lastra di vetro e mise questo schermo rigato contro una lastra fotografica prima di esporla utilizzando un comune apparecchio fotografico. Sotto le linee colorate la lastra registrava il colore corrispondente. Una volta tolto lo schermo rigato la lastra veniva sviluppata e stampata a contatto con una seconda lastra in modo da produrre un'immagine positiva. Rimontando lo schermo rigato sulla foto ottenuta si ottenevamo i colori dell'immagine originale. Questo metodo subì notevoli miglioramenti come, per esempio, nel caso della lastra di Paget che consentiva di abbreviare i tempi di esposizione, semplificare lo sviluppo e ottenere colori più vivi.




Col tempo, ai semplici schermi rigati vennero sostituiti schermi con mosaici di colori. Paget sfruttava un disegno a scacchi.La struttura di questo schermo era molto più fine di quella di Paget e quindi si ottenevano immagini più definite.

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