lunedì 14 febbraio 2011

Duchamp, il Ready-made e la fotografia

 La sposa messa a nudo dai suoi scapoli è una sorta di grande allegoria del "desiderio impossibile", che è insieme la molla dell'esistenza e il preannuncio dell'inevitabile scacco che minaccia la vita di ogni essere umano. Comunque quello che ci interessa in questo caso, è stabilire che per Duchamp, in quel momento, un quadro dipinto ad olio, un ready-made, una configurazione di linee ottenuta dal lancio casuale di un filo lungo un metro, o una fotografia, hanno lo stesso valore nella costruzione della sua "Grande opera". Non esistono si potrebbe dire, tecniche più artistiche di altre, ma solo sistemi di visualizzazione di oggetti &endash; o anche di fatti. In certo senso qui è l'accadimento stesso ad essere visualizzato. E quindi doveroso notare che equiparando la foto all'oggetto e all'accadimento casuale Duchamp giunge a conferire a tutte e tre le cose lo stesso statuto: quello di cose assolutamente vere, inevitabilmente vere come ogni accadimento casuale endash;potremmo dire: non voluto. Piston de courant d'air è la fotografia di tre pezzi di garza mossi dal vento: non ha nulla di sensazionale e verrebbe persino da chiedersi se era un soggetto realmente fotogenico. Per Duchamp essa rappresentava una situazione (una sorta di filtro vocale) che doveva essere inserita nella parte alta del Vetro. Infatti verrà utilizzata nella trascrizione su vetro, nella parte superiore dell'opera, la più problematica, difficile e astratta. La foto delle garze serviva anche all'artista per stabilire le possibilità di deformazione di un quadrato di stoffa, dato che una volta rappresentate sulla superficie piatta della fotografia si sarebbero adattate perfettamente all'universo bidimensionale della zona alta del Vetro. Quindi non solo rappresentavano l'oggetto voluto, ma anche il cartamodello già pronto per la trascrizione finale. Nella complessa costruzione ricavabile dagli appunti della Boite Verte di Duchamp, le garze costituiscono uno dei tanti filtri che regolano i complessi rapporti tra gli Scapoli e la Sposa. Essi le inviano il loro desiderio sublimato, sotto forma di una specie di gas volatile, mentre la Sposa invia loro i suoi "Comandements" (comandi, ma letteralmente "Comandamenti") attraverso una sorta di "corrente d'aria", prima di gratificarli attraverso una sorta di pioggia. Si tratta dunque di una delle situazioni decisamente più impalpabili concepite per l'opera, che Duchamp rappresenta attraverso una vera e propria ( sia pur minima) messa in scena, che tuttavia l'autore ha lo scrupolo di fotografare ( di rendere vera) prima di immaginarne la resa definitiva. Risulta così abbastanza evidente che in questo gioco di allusioni seduttive e impalpabili, Duchamp si differenzia tanto dal pittore tradizionale quanto dal fotografo: che invece hanno un'effettiva parentela tra loro in quanto cercano entrambi, sia pure con mezzi differenti, di rappresentare la realtà come forma. La fotografia che Duchamp utilizza ha invece lo stesso valore di un ready- made: è un "prelievo" dalla realtà, che la fotografia documenta (o a cui la foto rimanda) ma, di fatto non "rappresenta", perché non c'è volontà di rappresentazione. Diventa un oggetto assolutamente antisensazionale, indifferente per i più, ma dotato di una funzione speciale. Contemporaneamente all'apparizione dell'oggetto, infatti, elementi come il tempo e il caso vengono catturati da questo procedimento ed espressi nell'opera.

La fotografia del xx secolo

Nomi noti affiancano autori emergenti per farci capire come si sia passati dall’utilizzo dell’apparecchio fotografico solo come mezzo per riprodurre fedelmente la realtà, ad un utilizzo come strumento per creare arte pura.
Si inizia dalla fotografia documentaria degli anni ’10 e ’20, con il sociologo e pedagogo Lewis W. Hine che realizza dei veri e propri reportage sul lavoro minorile nella fabbriche americane, per poi proseguire con alcuni dei nomi maggiormente noti: da Robert Capa a Weegee e Diane Arbus.
Robert Capa è presente con la sua “Morte di un repubblicano spagnolo”, che ne fece uno dei massimi fotografi di guerra del Novecento.
Lewis W.Hine.Lavoro minorile 1908
Robert Capa: Morte di un repubblicano spagnolo
Di Weegee sono presenti le distorsioni dei volti di personaggi famosi, mentre di Diane Arbus si trovano i ritratti di nudisti in pose grottesche. Questi fotografi non inventano nulla, semplicemente reinterpretano in un’ottica surreale i soggetti che trovano nella cruda realtà.

Il passo per arrivare alla fotografia artistica nel senso moderno del termine è breve ed è Ansel Adams a compierlo con le sue foto scattate nei parchi americani, in cui si possono ammirare la perfezione, la cura dei dettagli e la massima profondità di campo.







La risposta europea è incarnata da Henri Cartier-Bresson, padre della fotografia d’autore. La sua è la ricerca di un fotografo che coglie soggettivamente “le moment décisif”, cioè il momento che afferra l’essenza della situazione.

Infine, le nuove tecniche del fotocollage, la carta fotosensibile, la messa in scena e la nuova consapevolezza del mezzo fotografico come sorgente d’arte sfociano nella fotografia concettuale di Man Ray e successivamente di Joel Peter Witkin.
Passando da Avedon, Herbert List, Mapplethorpe, Newton, Saudek, Cindy Sherman la collezione ripercorre quindi in modo esaustivo la vera e propria storia della fotografia del Novecento.

martedì 1 febbraio 2011

Photoshop, così famoso da diventare “verbo”

Photoshoppare– in inglese to photoshop– è un verbo di comune utilizzo.
Il famoso programma di fotoritocco targato Adobe è il più amato e utilizzato al mondo e non teme alcun rivale, per ora.
Photoshop, così come Google, ha trasceso i confini del suo significato originale, entrando a far parte del lessico mondiale come lemma indicante le azioni tipiche del fotoritocco.
Il problema, però, è che il termine “photoshoppare” non viene sempre utilizzato con connotazioni positive, anzi, spesso sta ad indicare la contraffazione di una foto, la sua alterazione allo scopo di celare la verità,verità come l’invecchiamento o i difetti fisici.
Quest'uso ha disturbato non poco Adobe, che ha tentato di scoraggiare l’utilizzo della parola come verbo, ma senza successo.
La contraffazione delle foto non è certo cosa nuova, si può dire che questo genere d'arte sia nato in contemporanea alla nascita della fotografia; ma è stato solo con l’avvento di photoshop che la pratica si è diffusa su scala mondiale.
La nascita del programma si deve ad un’intuizione di Thomas Knoll che ,nel 1987,cominciò, per gioco, a programmare un software in grado di mostrare immagini contenenti scale di grigio su di un computer in bianco e nero. La cosa affascinò anche suo fratello John così i due fratelli decisero di comprare un Machintosh II (al tempo l’unico computer in grado di mostrare i colori) per poter migliorare e potenziare il software.
I due lavorarono sodo finché Adobe ,che aveva deciso di produrre e distribuire il software,non commercializzò Photoshop 1.0. a partire dal 19 febbraio 1990.
Da allora tutti abbiamo provato a photoshoppare una foto, sebbene con alterne fortune e probabilmente tutti i professionisti dell’immagine, ora come ora, non saprebbero fare a meno del famoso software.
Il che porta a chiedersi: chissà che faccia hanno le star dal vivo.


giovedì 27 gennaio 2011

Il metodo Autochrome

A destra è visibile un ingrandimento del mosaico dei granuli di amido colorati (circa 600.000 in un centimetro quadrato). A sinistra una delle prime foto realizzate con metodo Autochrome.
Il passo decisivo per la definizione del colore venne compiuto dai fratelli Auguste e Louis Lumiere quando idearono nel 1904 il metodo Autochrome. Anche questo metodo, come i precedenti, era di tipo additivo. La differenza si basava però sul fatto che le lastre, anzichè essere tracciate da piccole righe, venivano cosparse di milioni di puntini colorati che agivano da filtri scindendo la luce nei colori primari. Questi puntini erano granuli di amido di patata tinti di rosso, verde e violetto stesi sulla lastra e ricoperti con un'emulsione sensibile alla luce. Il fotografo doveva solo caricare il suo apparecchio con lastra Autochrome posta col vetro verso l'obiettivo così che la luce potesse raggiungere l'emulsione solo dopo aver attraversato lo strato di filtro multicolore. Lo sviluppo dava ovviamente un'immagine positiva in bianco e nero che però, osservata attraverso questi filtri, appariva nei suoi colori anche se smorzati. Le immagini fotografiche ottenute erano soddisfacenti per l'epoca e anche i tempi di esposizione erano accettabili: un paesaggio assolato, per esempio, richiedeva un'esposizione di un solo secondo a f/5,6. Inoltre la cosa eccezionale era che le lastre Autochrome potevano essere utilizzate con qualsiasi apparecchio fotografico.
Possiamo dire che a questo punto la fotografia a colori era davvero nata, anche se nella sua forma ancora primordiale. Ma era sempre un sistema di tipo additivo,di questo si accorsero i musicisti nonchè appassionati di fotografia Leopold Mannes e Lepold Godowsky che, attorno agli anni venti,  si dedicarono alla ricerca di un metodo di tipo sottrattivo e all'elaborazione dell'"intergral tripack", una pellicola con tre strati di emulsione, ciascuno dei quali era sensibile ad uno dei colori primari. Nonostante però avessero trovato il modo di diffondere i coloranti negli strati di emulsione, il loro risultato era accettabile solo con due colori su tre. I due appassionati lessero che nel 1912 il fisico tedesco Rudolf Fisher aveva indicato di includere in ogni strato della pellicola dei "copulanti cromogeni" che reagissero con le sostanze chimiche usate in fotografia al fine di formare l'immagine a colori. Ad ogni modo non era riuscito ad evitare che questi copulanti migrassero da uno stato all'altro dell'emulsione. A questo punto Mannes e Godowsky, che nel frattempo erano stati chiamati dalla Kodak di Rochester nel 1930, si dedicarono a questo problema. Le loro ricerche portarono al metodo Kodachrome che venne perfezionato negli anni seguenti e diffuso in rulli da 35 mm per gli apparecchi fotografici del tempo. Metodi simili erano stati messi a punto anche dalla società tedesca Agfa, anche se furono diffusi solo dopo la fine del secondo conflitto bellico.Ad ogni modo, verso la fine degli anni cinquanta, la tecnologia Kodak e Agfa costituirono la base per lo sviluppo delle pellicole a colori moderne.
Le prime pellicole in commercio e i primi telaietti in cartone

martedì 25 gennaio 2011

La fotografia a colori

 Un passo importante verso la definizione della fotografia a colori venne compiuto nel 1861 a seguito degli studi condotti dal fisico scozzese James Clerk Maxwell che, illustrò una conferenza sulla visione umana del colore, con quella che potremmo definire la prima fotografia a colori della storia. E' curioso notare però che l'intento di Maxwell non era di tipo fotografico: egli infatti tendeva a dimostrare la validità degli studi condotti a suo tempo dallo scienziato inglese Thomas Young nel 1806 il quale riteneva che l'occhio umano reagisse a tre colori (il rosso, il verde e il blu) e che i rimanenti risultassero la mescolanza di questi tre colori primari. Sulla base della validità di queste considerazioni Maxwell riteneva fosse possibile ricreare tutti i colori di una scena in un'immagine fotografica facendo interagire, nella giusta proporzione, i tre colori primari. Quindi, in collaborazione col fotografo Thomas Sutton, Maxwell proiettò su di uno schermo, alla Royal Institution di Londra, la foto di un nastro scozzese.
 
Il metodo utilizzato si basava sull'utilizzo di tre lanterne magiche e ampolle di vetro colme di liquido colorato che fungevano da filtri. La dimostrazione di Maxwell confermò quindi il principio già esposto da Young. Nell'applicazione pratica però non si poteva ancora ricreare un'immagine a colori dal momento che il materiale fotografico a disposizione era sensibile solo alla luce blu. In realtà Maxwell non avrebbe mai ottenuto un'immagine  attraverso i filtri verde e rosso se non fosse stato per due  combinazioni: la prima che le tinture rosse del nastro riflettevano le luci ultraviolette cui era sensibile la lastra; la seconda che il filtro verde lasciava passare una quantità di luce blu-verde sufficiente per formare un'immagine.
                                                                                             
 Per riprodurre i colori di un soggetto originale Maxwell chiese a Sutton di scattare tre diverse fotografie di un nastro, ognuna con un filtro di colore diverso. Le lastre positive ricavate da queste tre diverse immagini in bianco e nero vennero poste in "lanterne magiche" accuratamente sistemate in modo da sovrapporre l'immagine proiettata, come esposto nel disegno. Proiettando le diapositive attraverso filtri degli stessi colori primari le immagini sovrapposte formavano i colori del nastro.

Contemporaneamente a Maxwell, in Francia Louis Ducos du Hauron studiava un altro metodo che a differenza di quello dello scienziato scozzese era di tipo sottrattivo. Anche nel metodo del francese si fotografava la scena in bianco e nero con tre riprese diverse: una con un filtro rosso, una con quello verde ed una con quello blu. Poi si preparavano tre emulsioni al bicromato di potassio con l'aggiunta rispettivamente di un pigmento magenta, giallo e cyan. Le emulsioni bicromate venivano stese su fogli di carta velina. Quindi ogni negativo filtrato veniva stampato sul foglio con il colore complementare al filtro usato e l'immagine veniva sviluppata con acqua calda: nelle zone rimaste esposte la gelatina colorata rimaneva attaccata al supporto, mentre scompariva in quelle non esposte. Infine le tre immagini venivano trasferite su di un unico foglio per averla nella sua completezza dei colori. E' interessante notare che il principio è lo stesso che viene usato oggi. Le immagini ottenute con questo procedimento erano soddisfacenti. Louis Ducos du Hauron giunse alle sue conclusioni quasi contemporaneamente a quelle cui giunse Charles Cros, così che i due resero pubbliche le loro scoperte in occasione della stessa conferenza della Société Française de Photographie nel maggio del 1869. Così come per il procedimento di Maxwell,  quello dei due francesi non poteva avere immediata applicazione poichè il materiale fotografico disponibile all'epoca era sensibile solo alla luce blu.  








Nel 1873, il dottor Hermann Vogel scoprì emulsioni sensibili alla luce verde e tre anni dopo du Hauron realizzò il suo primo ritratto a colori su carta.

Ma la fotografia a colori non era ancora alla portata di tutti. Così l'inventore americano Frederic E. Ives elaborò, nel 1888, una versione commerciale e semplificata del procedimento di Maxwell. 
In seguito commercializzò dei congegni per scattare e rivedere delle fotografie a colori.
Il più famoso di questi era il visore Kromskop in cui erano contenuti e disposti dei riflettori colorati. Guardando nell'oculare si vedevano tre immagini in bianco e nero riunite in un'unica immagine a colori. 


Verso la fine del 1890, il professor John Joly elaborò una tecnica che consentiva di usare una sola lastra al posto di tre e di porre i tre filtri colorati sopra l'emulsione sensibile alla luce anzichè sopra l'obiettivo. Per preparare i suoi filtri tracciò delle sottilissime linee rosse, verdi e blu sopra una lastra di vetro e mise questo schermo rigato contro una lastra fotografica prima di esporla utilizzando un comune apparecchio fotografico. Sotto le linee colorate la lastra registrava il colore corrispondente. Una volta tolto lo schermo rigato la lastra veniva sviluppata e stampata a contatto con una seconda lastra in modo da produrre un'immagine positiva. Rimontando lo schermo rigato sulla foto ottenuta si ottenevamo i colori dell'immagine originale. Questo metodo subì notevoli miglioramenti come, per esempio, nel caso della lastra di Paget che consentiva di abbreviare i tempi di esposizione, semplificare lo sviluppo e ottenere colori più vivi.




Col tempo, ai semplici schermi rigati vennero sostituiti schermi con mosaici di colori. Paget sfruttava un disegno a scacchi.La struttura di questo schermo era molto più fine di quella di Paget e quindi si ottenevano immagini più definite.

martedì 18 gennaio 2011

Cos'è la fotografia per voi ?

La figura del fotografo venne considerata da Baudelaire quella di “un pittore mancato” ma non dimentichiamo invece che la fotografia influenzò moltissimo gli Impressionisti e il loro rivoluzionario modo di dipingere.
Per me il mezzo fotografico possiede e necessita sia di forza espressiva che di ricerca culturale,a prescindere ovviamente dalla conoscenza della tecnica specifica.
Di certo, se si parla di buona fotografia, questo mezzo è in grado di estendere la nostra percezione, suscitare fascino ed interesse in chi la guarda.
E’ inoltre in grado di produrre stimoli di riflessione che nulla hanno da invidiare alla parola scritta, avendo la prerogativa di rendere, in vividi dettagli, il mondo visibile in tutte le sue molteplici forme.
Lo sguardo indagatore e talvolta inquieto del fotografo ha il potere di suggerire altre realtà celate sotto la superficie del visibile. Ma occorre uno sguardo speciale capace di vedere e di far vedere, percepire differenze e trovare e creare un linguaggio in grado di descrivere contraddizioni e incertezze allo scopo di trovare una forma privilegiata che riesca a coniugare la necessità di guardare con la propria inquietudine suscitata dall’oggetto osservato.
Immagini, idee, sentimenti possono essere trasmessi dalla fotografia, intesa come arte visiva, in un inedito confronto con la realtà.
Tra sguardo umano e sguardo fotografico vi è una fessura destinata a dilatarsi sempre più, si tratta di una sorta di “estraneamento” dell’immagine fotografica rispetto alla realtà e ne può nascere quindi una “nuova realtà” più inquietante e pregnante, affascinante e anche seducente, proprio perché la realtà, di per sé, è solo apparente.
Una bella fotografia è in grado di alludere, con il suo strano potere, ad uno spazio magico: l’oggetto, il paesaggio o la figura umana si lasciano oltrepassare e dirigere verso una dimensione immaginaria, misteriosa: uno spazio in cui perdersi. Va oltre la superficie delle cose e ci mostra l’inaccessibile e il misterioso che sono nascosti nel nostro paesaggio quotidiano. 
 
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L'influenza della fotografia

La fotografia influenzò un insieme di lenti spostamenti che, tra il 1910 e il 1915, condussero ad un drastico scossone destinato a diventare uno spartiacque nella tradizione dell’arte europea.

L’arte doveva veicolare una rivoluzione dello spirito: qualsiasi riferimento nelle opere alla percezione comune e al mondo materiale andava eliminata.Con la scoperta e il miglioramento della fotografia, l’arte perde il compito di rappresentare o raccontare la realtà, benché le nuove scoperte erano mezzi assai più fedeli e adatti a quest’obiettivo. L'arte si pone, a questo punto della storia umana, come un puro veicolo espressivo.

Successivamente poi, durante il Costruttivismo Aleksandr Rodcenko si esercitò nella grafica pubblica ma soprattutto nella fotografia, arte che solo allora stava davvero trovando una spiccata autonomia dai modelli pittorici che ne avevano segnato gli esordi. Insieme a Majakovskij ebbe intuizioni profetiche sul potere dei media. Fu seguendo questa medesima pista che Rodcenko si dedicò ai fotomontaggi , che influenzarono molto anche gli sviluppi di un cinematografo astratto e precorritore delle animazioni. (1915-17)

  
Laszlo Moholy-Nagy (1895-1946), austero insegnante
ungherese del Bauhaus, fotografo, scultore, designer era attratto da tutte le pratiche sperimentali che avvicinava con spirito scientifico. Nel suo libro “Dal materiale all’architettura” (1929) dimostra il suo approccio rigoroso all’insegnamento e anche la sua costante preoccupazione di rendere l’arte un aspetto utile alla convivenza civile:
durante gli ultimi cento anni -scrisse- l’indulgenza soggettiva nel creare arte non ha contribuito in nulla alla felicità delle masse”.
Cercando di andare oltre questo empasse, impostò la sua arte e una sperimentazione meccanica basata sulla interazione tra luce, oggetto e movimento, nel tentativo di 
coinvolgere direttamente il pubblico. 
 

Man Ray, esponente del dadaismo newyorkese, si dedicò fin da giovane al design e alla fotografia, campo nel quale trovò un vasto successo anche economico. Come fotografo, Man Ray portò alla luce tutte le possibilità di sperimentazione, facendo ritratti,fotografie di “sculture” che valevano come opere in quanto tali: non dunque in quanto “riproduzioni” ma come “produzioni” dotate di una loro specifica autonomia. Sul piano tecnico la sua proposta più importante furono le cosiddette Rayografie, fotografie ottenute appoggiando oggetti sulla carta fotosensibile ed esponendoli alla luce per qualche istante. Questo procedimento, così come la sovrapposizione di molti negativi in fase di stampa e la manipolazione della stampa attraverso processi di solarizzazione e viraggio, erano nati con la fotografia stessa ed erano patrimonio abbastanza comune dei fotografi già nel XIX secolo.
Il merito di Man Ray consistette nell’aver proposto al pubblico le immagini così autoritratto ottenute non più come fenomeni per stupire, ma al pari di componimenti pittorici.

Marcel Duchamp (1897-1968..) influenzò tutta l’arte del XX secolo, un’influenza che può essere paragonabile per intensità a quella di Picasso, anche se ha agito su un versante opposto: quello dell’abbandono della pittura come mezzo privilegiato dell’espressione artistica visiva. Il suo lavoro fu provocatorio, ma anche complesso e denso di riferimenti a quella stessa tradizione artistica di cui fu un critico acuto. Le sue opere possono essere inscritte in tre categorie principali: i dipinti, gli oggetti e le fotografie in cui ritraeva se stesso, a cui si devono aggiungere i dischi in movimento detti rotoreliefEssendo dati 1)il gas 2)la cascata d’acqua (1946-66). (1936) e la tarda installazione ambientale
I suoi esordi come pittore cubista non furono salutati da grande successo, ma il suo Nudo che scende le scale (influenzato dalla cronofotografia, 1912), esposto all’Armory Show di New York, suscitò vivaci polemiche: dipingere un nudo in movimento era rivoluzionario, in quanto privava il corpo dell’aura sacrale conferitagli dall’immortalità; se il nudo classico e fermo non desta alcuno scalpore ed è, anzi, parte del vocabolario consueto dell’arte, il nudo
in movimento diventa un segno irriverente quanto potrebbe esserlo una qualunque persona
senza abiti incontrata per strada.Duchamp è stato l’iniziatore delle opere sul corpo dell’artista, che proseguono la tradizione dell’autoritratto con mezzi soprattutto fotografici. In pratica l’artista si traveste, moltiplica la propria identità oppure la annulla interpretando personaggi diversi. L’autoritratto è un genere che nacque quando l’artista iniziò ad avvertire l’importanza della propria individualità e quando all’artista iniziarono a essere attribuiti termini in relazione col divino, come “genio”, “ispirazione”, “vocazione”; con Duchamp esso fa un balzo in avanti, denunciando l’enfasi che la cultura occidentale ha posto sull’individuo singolo ed eccezionale come motore della storia, dell’economia e dell’arte. 
                                                                                                                                                                              Questo tema è lampante nella fotografia in cui Duchamp compare 
con una chierica a stella sulla nuca.
Si intitola Tonsura e la scattò Man Ray, amico fidato, nel 1919. Uno “scherzo” molto semplice: la stella a cinque punte è simbolo di illuminazione; la testa è il luogo del pensiero; secondo le teorie gnoseologiche di carattere mistico le conoscenze arrivano alla mente dall’alto, per il tramite di un raggio di luce intellettuale. La tonsura è una caratteristica di chi ha rinunciato al mondo per cercare la conoscenza.Duchamp dichiarava, seppure in maniera ironica, la propria dedizione alla ricerca della conoscenza.